Il furto del
santambarco

1640

«Specie d’abito, o sopravveste, o diciamo mantello usato da’ nostri contadini per difendersi dall’acqua, o dal freddo: ed è composto di due larghe strisce di panno, cucite in forma di croce, con una buca in mezzo, per la quale passano il capo, e vengono coperti da una parte di detto panno le schiene, e il petto, e dall’altra le braccia e i fianchi»

Questo era il ‘santambarco’ secondo la definizione del letterato e diplomatico fiorentino Paolo Minucci nei suoi commenti all’opera “Il Malmantile racquistato” di Lorenzo Lippi, edita per la prima volta a Firenze nel 1688.

Anche gli uomini di Pietrapazza usavano il santambarco per proteggersi dalla pioggia e dal freddo, e proprio uno di questi è al centro d’un piccolo episodio avvenuto nel 1640. Suo malgrado ne fu protagonista un giovane contadino chiamato Piero di Santi da Ripiano. Quando, il 10 aprile, questi si presentò alla Corte di Bagno, il Cancelliere lo descrisse così: «giovane di anni 20, come disse e come per l’aspetto dimostrava, di giusta statura, et malvestito»: non poteva essere diversamente, visto quanto gli era accaduto.
«Che cosa voglio pretenda dalla Corte», gli fu chiesto.

Piero raccontò che il mattino dell’otto aprile, che era «Giorno della Santissima Pasqua», tornava dal mercato di Ponte a Poppi in compagnia di tre “paesani”: Iacopo d’Agostino da Sangiavolo, Mengo di Tonino dall’Eremo Nuovo e Pierino di Francesco, garzone di Virgilio Mosconi da Ridolmo. Si conoscevano tutti quanti bene perché «sebene siamo lontani, nondimeno alle volti ci troviamo tutti ad una medesima chiesa». I quattro uomini, lasciato il mercato, avevano risalito la valle dell’Archiano e si trovavano a passare dalle parti di Badia Prataglia. Piero portava in capo due o tre quarti di staio di castagne e vestiva il suo santambarco: era «cattivo, piccolo, o misero, di panno di Romagna», di colore «bigio, che pende in tanè», cioè d’un grigio che tendeva al castano scuro. Era anche un poco rotto sul davanti, per cui era stato rattoppato con una pezza.

Una foto storica della chiesa di Santa Eufemia – Pietrapazza

I quattro viandanti giunsero al limitare della macchia, «cioè vicino ad essa un tiro di mano», nel luogo che il garzone Pierino avrebbe identificato come «sotto il Campo di Lazero» e Mengo «sotto il Campo dell’Asino». Piero e Iacopo procedevano appaiati davanti e gli altri due seguivano a breve distanza. Mentre attraversavano uno “scopeto”, Iacopo lasciò avanzare Piero e gli si portò alle spalle.
«Questo santambarco è mio, et lo voglio, e se tu non me lo darai per amore lo voglio per forza».
«Per amore non te lo darò mai per che è mio, et non mi doveresti far questo».
L’uomo abbrancò il ragazzo alla vita da dietro e gli strappò il santambarco di dosso, facendogli cadere le castagne che portava in equilibrio sul capo.
«Iacopo, non si fa così», protestò timidamente Piero.
Di tutt’altro tenore la risposta dell’uomo:
«Vedi abbada à fatti tua, et levati di qui per che faremo qualcosa che non starà bene, e non mi rompere il cervello».
Di fronte alla «cera burbera» dell’uomo, e visto il pugnale che gli pendeva al fianco, Piero valutò che era meglio starsene «cheto», altrimenti avrebbe rischiato grosso. Mengo e Pierino, che avevano visto tutto, provarono a parlare all’aggressore:
«Iacopo, lassa stare questo povero giovane, et rendili il suo santambarco».
«[Lo voglio perché e mio, e] lo voglio portare à mia ragazzi», rispose questi mentre già s’avviava avanti a passo veloce, e ben presto nessuno lo vide più.
Concluso il racconto, Piero disse al Giudice che non solo l’indumento era suo, ma gli era stato donato da un vicino, Iacopo di Simone da Ripiano.

Nella foto esempio di Santambarco, foto elaborata digitalmente.

«[È] un santambarco che io ho dato per l’amor di Dio à Piero di Santi da Ripiano», avrebbe confermato quest’ultimo quando, a sua volta, si presentò in Corte: era il 19 aprile.
«Gne ne detti questa invernata», proseguì, «[e da allora] l’ha portato continuamente».
Questo Iacopo era un piccolo possidente la cui famiglia abitava a Ripiano già da qualche generazione, probabilmente in quella casa che soltanto molti anni dopo avrebbe preso il nome di ‘Lastricheto’.
Piero era invece un mezzadro o un fittavolo la cui famiglia – di cui oltre al padre Santi si conosce almeno una sorella, Caterina – doveva essere arrivata nella valle di Ripiano da poco (e vi sarebbe restata almeno fino al 1649). Questo spiegherebbe l’atteggiamento caritatevole del possidente Iacopo («per l’amor di Dio») nei confronti del “povero” Piero, che lo indusse a donargli un indumento usato e riparato alla meglio, comunque prezioso per chi non ne aveva alcuno.
«L’havevo fatto in casa mia», spiegò, «che era un santambarco grande di mio padre, che sono tre anni che è morto. Haveva dinanzi proprio una pezza, che era rotto, che l’havevo fatto rassettare io».
In ogni caso, Piero non intendeva che il suo aggressore la passasse liscia. Il giorno dopo lo incontrò alla chiesa di Pietrapazza, dov’era anche Mengo dall’Eremo Nuovo. Disse a quest’ultimo:
«Mengo, tu hai ad andare alla Corte per me».
«Se c’anderò, non voglio dire ne più ne manco della verità», rispose questi.
Iacopo da Sangiavolo li sentì parlare, o comunque fu informato dell’intenzione di Piero.

Nella foto a fianco Eremo Nuovo 1983

Fatto sta che, servendosi proprio di Mengo come ambasciatore, cercò di convincere il giovane a non dargli una querela:
«Me ne fece parlare da Mengo, quale mi disse che io non venissi altrimenti à Bagno à dar la querela, che mi haverebbe fatto rendere il santambarco […] e mi haverebbe fatto dar qualcosa».
Dunque Iacopo era disposto non solo a restituire il maltolto, ma anche a dare qualcosa in più pur di evitare un processo.
«Io li risposi che volevo venire, per che un altra volta m’ammazzerebbe».
Per lui era più importante che l’uomo fosse punito, piuttosto che il quieto vivere. E la punizione per Iacopo arrivò con la sentenza che il Capitano pronunciò il 5 luglio 1640:

«Noi Capitano, trovato detto Iacopo colpevole, et di ragione punibile, lo confiniamo arbitrariamente per sei mesi fuori del Capitanato di Bagnio pena le Stinche per altanto tempo non osservando.»

Il successivo 8 luglio il Messo Fantini comunicò quanto sopra all’interessato, appositamente raggiunto a Sangiavolo. Questi si affrettò ad obbedire, anche perché l’eventualità di finire nelle “Stinche”, le famigerate carceri fiorentine, era ben più spaventosa. Il 15 luglio Iacopo prese il confino a Pratovecchio in Casentino, non troppo lontano da casa. Durante i sei mesi successivi si presentò regolarmente al cospetto del Podestà di Pratovecchio per segnalare la sua presenza. Il Capitano di Bagno il 10 febbraio 1641 dichiarò cancellato «detto confino per haverlo osservato interamente». Finalmente Iacopo poteva rientrare a Pietrapazza dove l’attendeva la famiglia; un po’ meno, c’è da scommetterci, Piero con il suo santambarco.

Da un racconto di

Alessio Boattini

Ricercatore all’Università di Bologna, dove si occupa principalmente di genetica e genomica di popolazioni umane, con particolare attenzione agli aspetti evoluzionistici ed alla storia del popolamento dell’Europa e del Mediterraneo.

Fotografie dal libro

La gente di Pietrapazza

a cura di Claudio Bignami e Alessio Boattini