Le due
sorelline

In occasione della festa dell‘Ottava Brigata Garibaldi il 10 settembre 2023 verrà inaugurato un cippo alla memoria di Caterina e Giuseppina Milanesi di anni 8 e 5 morte a Cà del Tosco nel 1951 a causa di un ordigno bellico col quale giocavano. Riportiamo un articolo di Oscar Bandini per non dimenticare l’orrore che da sempre accompagna le guerre.

Il boato fu tremendo. Cupo, minaccioso. Per alcune ore gli abitanti della piccola comunità di Strabatenza e le contermini di Pietrapazza e Casanova in Alpe pensarono di essere ripiombate in guerra. Il conflitto, negli anni 1943-1944, aveva sfiorato questi popoli dediti all’agricoltura e all’allevamento.

Nessuna strage o eccidio, come nella confinante Toscana, aveva sconvolto i ritmi lenti delle numerose famiglie negli anni terribili che vanno dall’ottobre 1943 all’estate dell’anno seguente. Pur essendo stata sede, a partire dal marzo 1944, del Comando della 8ª Brigata Garibaldi Strabatenza (per la precisione i partigiani si erano stabiliti nel podere Casaccia), la guerra aveva portato lutti, paure, scontri armati, diffidenze ma sempre in episodi circoscritti che mai raggiunsero la virulenza degli eccidi e delle stragi di Partina, Moggiona e Vallucciole in territorio aretino e di Tavolici e del Carnaio in quello romagnolo.

Con il passaggio del fronte e la conquista di San Piero e Santa Sofia nell’ottobre 1944 da parte degli alleati e dei partigiani, a Strabatenza ripresero i ritmi antichi del lavoro da «stelle a stelle».

Lentamente le piaghe e le ferite della guerra si rimarginarono, molti lutti avevano colpito le famiglie che non avevano visto tornare a casa i loro cari caduti sui vari fronti di guerra, ma la voglia di vivere aveva risvegliato nei cuori di quei testardi montanari il desiderio di voltare pagina.

Nella foto a fianco la salgada (o salgheda) il breve tratto di mulattiera che collegava la chiesa al borgo di Strabatenza 1957

Anni 50. Strabatenza vista dalla mulattiera che conduceva a Casanova dell'Alpe
Strabatenza

I giovani guardavano con rinnovato interesse (mai sopito) le loro coetanee, le veglie, i giochi sull’aia e i balli rustici si alteravano al lavoro quotidiano. Le case grigie di pietra che ancora oggi possiamo ammirare in questa parte dell’appennino tosco romagnolo si riaccendevano di nuovi rumori, luci e suoni.

Quando gli uomini e i ragazzi del Palaino e Ca del Tosco s’incontrarono, la tragedia si era già consumata. Le sorelline Caterina e Giuseppina Milanesi, d’otto e cinque anni, come ogni giorno portavano le pecore a pascolare. Anche in tenera età, nella comunità di Strabatenza bisognava rendersi utili. Non erano concessi molti privilegi neppure ai fanciulli di queste realtà periferiche, soprattutto nei poderi più poveri.

La famiglia Milanesi di Cà del Tosco era a mezzadria in questo podere in proprietà ai Rossi di San Silvestro, a loro volta originari del Trogo di Casanova in Alpe. Era un tenimento povero: il grano e un po’ di bestiame erano i capisaldi di un’economia di sussistenza. Le due sorelline, curiosando, trovarono nel muro di Cà del Tosco un oggetto strano, nella loro immaginazione un giocattolo misterioso. L’oggetto passò di mano in mano, il resto lo potete immaginare. La mina, forse di fabbricazione inglese, lasciata seminascosta nel muro alla fine della guerra, scoppiò uccidendo le due piccole all’istante.

Nella foto anni 50 Strabatenza

La madre Celeste Versari, non vedendole rincasare alla solita ora, mandò Gino il figlio più grande a cercarle. Il giovane volò sul breve percorso della mulattiera massicciata, fiancheggiata da un fosso ricco d’acqua e, quando le trovò, non c’era più nulla da fare. La tragedia si era consumata.

Poco dopo sopraggiunsero il padre Sandro e l’altro figlio Piero, che portarono i corpi straziati al Palaino. Flavio Mariannini di Ca di Sopra (aveva allora ventotto anni) con la famiglia si era trasferito da Ca di Giorgio nel nuovo podere da pochi anni. E ancora un testimone autorevole e ascoltato degli avvenimenti di quelle parrocchie.

La scena che si presentò ai suoi occhi, quella notte del 28 luglio 1951, fu tremenda. Il padre «si strappava i capelli e batteva la testa contro il muro», la madre silenziosa e con gli occhi nel vuoto in un angolo non proferiva parola, il cugino Ulino preparava le casse per le bimbe. «Fu uno strazio tremendo» vuole porre l’accento Mariannini.

Due giorni dopo si svolse il funerale alla presenza di tutti gli abitanti della Valle, guidati dal parroco don Natale. Caterina e Giuseppina furono sepolte nel piccolo cimitero di Strabatenza, oggi abbandonato. Le lapidi, spezzate o divelte, non fanno onore agli amministratori d’oggi. Una tomba è sempre un monumento del ricordo e della storia di una comunità: e non è necessario scomodare il Foscolo de I sepolcri.

Per un lungo decennio gli incidenti e le morti causate da ordigni bellici in provincia di Forlì furono innumerevoli: anche le due sorelline, come recita la loro scheda anagrafica, morirono per «scoppio di ordigno da guerra».

Una foto recente del cimitero di Strabatenza

I giornali dell’epoca – in particolare «Il giornale dell’Emilia » – nelle pagine di cronaca locale riportavano metodicamente questi episodi in poche righe. Ma dell’episodio di Cà del Tosco nulla. Nonostante la gravità dell’episodio, e il fatto che il quotidiano più diffuso della Regione potesse contare allora su di un corrispondente presente e metodico come Umberto Console (al quale non difettava di certo l’attenzione verso le piccole comunità di montagna, da lui descritte in molte occasioni su giornali e periodici a diffusione nazionale fin dagli anni ’30), nemmeno due righe per ricordare la morte atroce delle due sorelline.

Nulla neppure nei settimanali «Il pensiero romagnolo» e il «Momento». Anche l’inchiesta ufficiale fu rapida e la pratica archiviata. Unico segno visibile di quel tragico incidente del luglio 1951 una piccola lapide sbozzata in arenaria con i nomi e le date di nascita e di morte di Caterina e Giuseppina, vicino ai muri cadenti di Cà del Tosco. Un ciliegio selvatico cresciuto dentro la casa ci ricorda il trascorrere delle stagioni e i silenzi ripetuti, interrotti dal gorgoglio del torrente e dal bramito dei cervi.

Nella foto la lapide dedicata alle bambine presente a Cà del Tosco

Articolo di

Oscar Bandini

“Le morti superflue in una comunità periferica, la valle di Pietrapazza degli anni ’30 e ’40 tra esodo e oblio”
Società di studi romagnoli