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Foto & Web: Lamberto Bignami
Tra la posta indirizzata al rifugio, tra bollette, pubblicità ed altro, abbiamo trovato questa lettera che, per una questione di correttezza o par condicio, non possiamo rifiutarci di pubblicare. Noi pubblichiamo, ma ovviamente ci dissociamo.
Sono uno dei tanti faggi secolari che trascorrono la loro esistenza all’interno del Parco Casentinese e vi scrivo in rappresentanza di tutti gli alberi che popolano la foresta per esprimere il nostro disappunto riguardo a una nuova categoria di scansafatiche che ha iniziato a frequentare i boschi. Per farla breve: un tempo la vita di noi alberi era normale, scandita dalla nascita e dalla morte. I boschi si rigeneravano naturalmente, grazie alla dispersione dei semi delle piante madri, in un ciclo vitale che è durato per millenni.
Poi, in cerca di nuove emozioni, il deprecabile e mal riuscito rapporto orale tra un dinosauro e una brontosaura del Mesozoico diede il via al genere umano e da quel momento cominciarono i nostri guai: più la vostra popolazione aumentava, più la nostra diminuiva. Nel corso dei millenni ce ne avete combinate di tutti i colori: incendi per fare spazio a pascoli e coltivazioni, tagli per scaldarvi, costruire abitazioni o fabbricare clave per prendervi a legnate sulla testa. Non contenti, ad un certo punto della storia, ci si sono messi pure mistici, santi, venerabili ed altri ciarlatani che, in cerca di solitudine, meditazione e preghiera, hanno fondato monasteri, eremi, cenobi, portandoci via le parti migliori del bosco.
Ma questo è il passato. Negli ultimi decenni i frequentatori delle foreste sono aumentati in modo esponenziale e ai tradizionali piromani, boscaioli, religiosi, carbonai e compagnia bella si sono aggiunti i grandi predatori di bosco e sottobosco (cacciatori, fungaioli, tartufai, cercatori di fragole, more, castagne, noci ecc…) oltre, naturalmente, a camminatori, sempre accompagnati da cani che pisciano contro i nostri tronchi, e ciclisti che vi si schiantano. A tutta questa gente, che ovviamente considera i boschi al pari di pattumiere e quindi trova doveroso abbandonare cartacce, fazzoletti, bottiglie di plastica, lattine, anticoncezionali e quant’altro, si sono aggiunti di recente altri perditempo che, dal punto di vista di noi alberi, sono i peggiori, pur non avendo un impatto devastante come le altre categorie. Questi nuovi frequentatori probabilmente vivono in una bolla di sapone e, quando escono, fanno proprie tutte le idee bislacche e prive di senso (di solito provenienti dall’oriente) che il resto del mondo propone. Una delle ultime scemenze che si sono bevuti è la convinzione che abbracciare noi alberi faccia bene: dicono che, grazie all’energia che trasmettiamo, riescono ad immergersi completamente nella natura traendo quel benessere psicofisico che li rilassa, li libera dallo stress ed altre boiate simili.
A questo punto, la domanda che ci poniamo è: ma noi vogliamo essere abbracciati? La risposta è ovvia: NO, in quanto il genere umano ci fa schifo.
Voi abbracciatori – non sappiamo come definirvi – arrivate facendo discorsi che non stanno né in cielo né in terra, con le vostre t-shirt made in China che ci fanno rabbrividire. Vi scegliete naturalmente alberi dal tronco liscio perché quelli squamosi, spugnosi, rugosi, a scaglie o addirittura resinosi vi danno fastidio o vi rovinano la maglietta. Poi restate attaccati a noi per un tempo che ci sembra infinito e, soprattutto, ci disgusta. Noi alberi a voi non trasmettiamo nulla, quindi non abbracciateci. Gli abbracci regalateli ai vostri figli, ai vostri genitori, ai disabili, agli emarginati e a chiunque ne abbia davvero bisogno, che sono tanti. Ci sono svariate opportunità – certo più scomode – per ottenere sensazioni migliori rispetto a quelle che vi inventate abbracciandoci: andate a dare una mano nei centri di volontariato, aiutate quelli della Caritas a distribuire pasti, dedicatevi ai servizi socialmente utili, insomma fate quello che volete, ma lasciateci in pace. Noi alberi abbiamo già i nostri problemi e a voi non vogliamo trasmettere proprio nulla.
Comunque, se proprio non riuscite a farne a meno, andate ad abbracciare ginepri e cactus oppure adagiatevi dolcemente su un bel campo di ortiche e vediamo se riuscite a cogliere quella spiritualità che, secondo voi, vi libera dai vari blocchi fisici, emotivi, psichici ed evolutivi che caratterizzano la vostra vita.
Foto di Isacco Emiliani
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